E a dieci… le-i malfattore-i si precipitano a Bure!

Da cinque nel giugno 2018, siamo passati a sette in settembre, a otto nell’agosto 2019, a nove in ottobre e a dieci in novembre. Dieci malfattore-i sono state-i incriminate-i e poste-i sotto sorveglianza giudiziaria per essere state-i bandite-i di entrare in contatto tra di loro e dal territorio, per 15.000 pagine di un dossier che cresce di 2.000 pagine ogni 3 mesi.

Tutto inizia con l’intrusione di poco meno di una dozzina di oponente-i nei locali dell’Hotel-Ristorante situati all’interno della zona del laboratorio di Andra a Bure. Le pietre hanno rotto le finestre, i mobili sono stati sfasciati nel refettorio e un incendio è scoppiato su una pozzanghera di benzina, che è stata portata sotto controllo dal cuoco quando gli intrusi hanno lasciato il locale. L’inizio dell’incendio diventa un incendio sulla stampa, la presenza di clienti nell’albergo un pericolo per la vita degli altri per il pubblico ministero: i criteri sono soddisfatti per caratterizzare il crimine come una banda organizzata. E se c’è criminalità organizzata, c’è organizzazione, non ci vuole molto di più di questo perché tutta la lotta e i suoi avversari diventino sospetti e quindi aprano il campo a un’indagine senza limiti.

Tra qualche mese seguiranno una ventina di perquisizioni e numerose udienze e la custodia della polizia. Le indagini forensi sul DNA, sui computer e sulle sostanze chimiche si stanno accumulando e sono sempre più numerosi gli uffici forensi e le divisioni della polizia scentifica responsabili dell’analisi dei m³ di sequestri di una ventina di perquisizioni. Pertanto, sono già stati versati almeno 55 000 EUR e probabilmente sono stati effettivamente sostenuti almeno 100 000 EUR. Ad esempio, per circa 30 computer e telefoni e circa 50 hard disk, ci sono 30.000 euro di costi per le competenze informatiche; e 1.400 euro per il DNA di una maglietta e dei pantaloni.

Questo non include il stipendio dei circa trenta ufficiali di gendarmeria della sezione di ricerca di Nancy e delle brigate di ricerca locali che li sostengono e che hanno passato migliaia di ore a disimballare e compilare dati estratti da centinaia di sigilli, decine di ore di udienze, intercettazioni telefoniche e perquisizione per produrre verbale.

Centinaia di migliaia di euro che equivalgono, se non superano, il costo dei danni causati alle infrastrutture di Andra, fonte di questa gigantesca indagine. Questo sembra poter raggiungere la sazietà solo quando ha inghiottito l’ultimo degli avversari che hanno combattuto contro il progetto Cigeo tra l’estate 2016 e la primavera 2018.

104.000 comunicazioni ascoltate/lette per intero su 26 linee telefoniche intercettate nel corso di mesi. Tra questi c’erano responsabili e locali dell’associazione, giornalisti e avvocati. Un’auto della gendarmeria non contrassegnata, sormontata da un’antenna IMSI Catcher, che è stata portata in giro per un mese per catturare tutti i numeri di telefono in un’area situata nel raggio di 5 km intorno a Bure e anche occasionalmente alla periferia del tribunale distrettuale di Bar-le-Duc. Geolocalizzazione di una ventina di linee di telefonia mobile in tempo reale per tre settimane. Due fari GPS impiantati sotto veicoli personali, e un tentativo abortivo di intrusione da parte di una microspia nei locali dell’associazione della Casa di Resistenza durante un fine settimana di mobilitazione. E infine, centinaia di richieste telefoniche da parte degli operatori per scoprire le identità legate a tutti i telefoni collegati alle antenne di relè in prossimità delle manifestazioni intorno a Bure per più di un anno.

E alla fine, per perfezionare il quadro distopico, tutto questo materiale ottenuto viene iniettato in un super programma, ANACRIM, che genera mappe mentali che collegano gli individui a luoghi, date, numeri di telefono, responsabilità associative, presunte implicazioni criminali. Il risultato sono dei grafici a forma di ragnatele dove gli attori principali sono addobbati con fotografie, raccolte qua e là da ritagli di giornale, o foto sfocate di filatura e sorveglianza della polizia, mentre i ruoli secondari sono per lo più designati solo con uno pseudonimo o un numero di telefono. Il decoro è pronto per una brutta serie di crimini futuristici: abbiamo a portata di mano la nostra associazione di malfattori, non resta che ricamare la rete organizzata intorno al crimine. In questo caso, uno pseudo-incendio in un hotel-ristorante nel laboratorio di Andra nel giugno 2017 e il lancio di razzi e pietre contro i gendarmi che bloccavano lo svolgimento delle manifestazioni di febbraio e agosto 2017.

Ci sono testi radicali su chiavette USB e hard disk, DNA e impronte digitali su razzi, petardi e bottiglie di benzina negli armadi, migliaia di euro che entrano ed escono dai conti bancari dell’associazione, allusioni, confidenze e mea culpa nelle conversazioni telefoniche e testi in giro. Abbiamo il nostro grappolo di indizi concordanti che, incastrati uno dopo l’altro nei rapporti della polizia, estrapolano i contorni della cospirazione, indovinando un’intenzionalità e una complicità collettiva in agguato nel cuore di un’impresa malvagia.

Come potrebbe essere altrimenti quando si parte dal “crimine” e si confondono tutte-i coloro di cui si vuole persuadere la colpa? E se la lotta non vuole risolverla dentro di sé, allora tutte-i sono complice-i, tutte-i saranno sul banco degli imputate-i il “giorno del giudizio”. In assenza di una controversione e di una negazione da parte delle-degli’imputate-i, questa soap opera di polizia legale avrà il valore della verità agli occhi della Corte che giudicherà, e senza dubbio agli occhi della Storia stessa. Questa versione, smussata dalla metodologia della polizia e destinata a inserirsi nello stampo giudiziario della criminalità organizzata, sostituirà negli annali la realtà molto più complessa di un terreno di lotta eterogeneo e delle sue eterogenee interindividualità. Finite le amicizie, le complicità intime, le differenze e le divergenze, la determinazione forgiata dal sentimento di ingiustizia, le traiettorie danneggiate da una repressione brutale e cieca, la disperazione di vedere il futuro ipotecato quando abbiamo ancora decenni di esistenza da proiettare in esso. In fondo, è solo la soggettività rispetto all’imperativo della pace sociale, anche fittizia, della forza che deve rimanere con la legge, con lo Stato nucleocratico, sovrano nella decisione politica di ratificare un progetto di presunta pubblica utilità.

La giustizia e la polizia agiscono come gli ignoranti di fronte a un letto di ortiche: si tirano su e tagliano selvaggiamente a terra, come se sotto la superficie la lotta non fosse una vasta rete di radici intrecciate. Giudici e investigatori sparano, sparano a qualche pianta, sembrano pensare che alla fine sradicheranno o dissuaderanno l’erbaccia dal crescere di nuovo. Ma chiunque abbia mai sparato alle ortiche sa che l’intero sistema delle radici deve essere sradicato per dissuaderlo dal ricrescere e per liberarsene. Qui siamo decine e decine di soggettività e individualità intrecciate in una rete inestricabile di radici accumulate in anni di lotta, mesi di convivenza che non si limitano ai confini geografici di un territorio o a insiemi definiti di individui. E anche se rimaniamo lontani l’uno dall’altro, rimaniamo legati da profonde amicizie e complicità: siamo costantemente in contatto attraverso l’intuizione, attraverso l’empatia, attraverso il resto della rete estesa di lotta e di cuore dei nostri amici, e nonostante il disorientamento iniziale dei frenetici colpi di vanga, tendiamo costantemente ad essere collettivi, a continuare ad agire collettivamente. Ogni giorno, settimana e mese che passa riempie i solchi che la repressione ha scavato tra noi, e la solidarietà ricostruisce tra noi i legami invisibili del vasto collettivo di una comunità di lotta.

Il gioco del gendarme e del ladro, del giudice e del prigioniero deve finire: siamo tutti criminali, non ci saranno abbastanza alberi da abbattere nel Bosco Lejuc per stampare i verbali per tutte-i noi, colpevole-i di aver partecipato a 500 persone all’abbattimento di un chilometro di muro eretto da Andra nell’estate del 2016, né per aver partecipato al 700 per la manifestazione che ha abbattuto tutti i cancelli del lato nord dell’ecoteca di Bure nel febbraio 2017, né per aver partecipato a tante persone a una manifestazione rurale non dichiarata che ha portato a un confronto fisico con i gendarmi mobili che li hanno bloccati non appena hanno lasciato il villaggio di Bure il 15 agosto dello stesso anno.

La mascherata deve finire: siamo tutti e tutte complice-i, e non ci saranno mai abbastanza controlli giudiziari e gendarmi per perquisire le centinaia di case di tutte-i coloro che hanno deliberatamente scelto di mobilitarsi a Bure in un contesto di crescente repressione giudiziaria e di polizia. Se questa istruzione mira a dare l’esempio e la deterrenza estraendo dei colpevoli tra le centinaia di noi, allora non si chiama Giustizia, si chiama Polizia Politica. E in questo gioco, anche se 5, 7, 8, 9 o 10 persone devono pagare a caro prezzo, prima o poi la rivolta finisce per avere l’ultima parola e i nomi dei tiranni e dei piccoli carnefici finiscono incisi a lettere di sangue e vergogna nel marmo della storia.

L’omerta deve fermarsi: con o senza di noi, la lotta si alimenterà della nostra rabbia, del nostro sentimento di ingiustizia, si alimenterà pazientemente su di loro, prima che violentemente e improvvisamente riaccenda la tempesta che porterà via con sé tutti quegli uomini e quelle donne di paglia che si nascondono dietro i vestiti graniloquenti dei loro uffici per sferrare colpi, in nome di una pace sociale che puzza di malafede nel denaro. Il cigeo non è un’opera umanista, è un pozzo di spazzatura sul cui coperchio si trova una piramide di ingegneri, funzionari pubblici, scienziati, imprenditori, lavoratori, con politici, procuratori, prefetti e giudici come chiave di volta. E tutti insieme tengono il muso finanziario e coercitivo della Mosa, dell’Alta Marna e gradualmente di tutto il Grand Est. Tutti uniti nella costruzione e nel vergognoso compromesso di un progetto megalomane che la maggior parte degli abitanti non vuole e non ha mai voluto.

Per coloro che sono state-i segnate-i nella loro carne e nella loro mente dalla repressione, per coloro che terranno per sempre la paura dei colpi alla loro porta e sulla loro pelle nella loro memoria, per coloro che si sono tolti la vita perdendo di vista l’orizzonte della lotta, per coloro che sono state-i e sono tuttora private-i della libertà, punite-i per la pienezza della loro rabbia, per le-gli innumerevole-i che sono state-i disprezzate-i e umiliate-i da gendarmi e magistrati più per quello che erano che per quello che difendevano, per coloro che si sono viste-i difendono di vivere le loro amicizie dove erano radicate, per chi si ama e non ha più il diritto di toccarsi se non con sguardi lontani e complici, per chi si sente ogni giorno più sole-i e disperate-i di essere le-i residente-i di un futuro cimitero di atomi, per troppi dei nostri sogni e delle nostre speranze calpestati dal rumore degli stivali, non ci sarà né oblio né perdono!

katyusha _ AT _ riseup PUNTO net

22/01/2020

    Et sinon, 5 jours avant
    on écrivait ça.

    LOÏC: “ROMPERE IL MURO CHE SEPARA LA PRIG...

    Originariamente pubblicato il 12/01/2019 sul sito web La neige sur Hambourg. Il 18 dicembre, Loïc è stato finalmente rilasciato dopo 16 mesi di detenzione. Il testo seguente è la sua prima dichiara...   Lire la suite

    17/01/2020

    Et sinon, le jour même
    on a écrit ça.

    E a dieci… le-i malfattore-i si precipita...

    Da cinque nel giugno 2018, siamo passati a sette in settembre, a otto nell’agosto 2019, a nove in ottobre e a dieci in novembre. Dieci malfattore-i sono state-i incriminate-i e poste-i sotto ...   Lire la suite

    22/01/2020